DALLA RUBRICA "RACCONTI DI STORIA..DEL CAPOLUOGO"




Oggi vogliamo continuare con questa nuova rubrica che riguarda le perle di storia della Città di Belluno. Vogliamo parlarvi di uno dei più grandi pittori di tutti i tempi, qualè Ippolito Caffi, che nacque proprio nel capoluogo dolomitico.

Ippolito Caffi (Belluno, 16 Ottobre 1809 – Lissa, 20 Luglio 1866) è stato un pittore italiano. Nato da Giacomo e da Maria Castellani, studiò a Belluno, poi a Padova con il cugino pittore Pietro Paoletti, che lavorava assieme a un altro pittore bellunese di gusto neoclassico, Giovanni De Min; infine all’Accademia di Venezia, dove poté conoscere i vedutisti veneziani del Settecento. È un esempio di questo periodo il suo “Il ponte di Rialto”, in Ca’ Pesaro. In quell’ambiente di seria applicazione, ma scarso respiro, Caffi cominciò a sentire un senso di disagio: così, nel Gennaio del 1832, si trasferì a Roma insieme al cugino Paoletti. Frequentando la sua bottega, Caffi migliorò la propria tecnica, approfondendo il genere della veduta. Agli inizi del 1883 Caffi aprì un proprio studio, dedicandosi alla pittura dal vero al disegno. Domiciliato a Roma, si spostava spesso in altre città per esporre le 

sue opere. A Roma fece anche un viaggio in mongolfiera, che lo colpì totalmente, da spingerlo a dipingere due quadri quasi romantici. Nel 1841 decorò la sala romana del Caffè Pedrocchi di Padova. Nel 1843 parti per Napoli e, di qui, per l’Oriente, visitando Atene, la Turchia, la Palestina e 

l’Egitto; tornò in Italia nel 1844, carico di schizzi e di opere. Nel 1848 lasciò Roma, partendo per il Friuli, dove si arruolò nella guerra contro l’Austria; fatto prigioniero, evase, fermandosi a Venezia per un anno. Nel 1849 si stabilì a Genova, in Svizzera e nel 1850 a Torino. Dopo una serie di viaggi a Londra, dove espose all’Esposizione Universale, a Parigi ed in Spagna, nel 

1855 tornò a Roma e dal 1858 di nuovo a Venezia, dove subì un processo per “crimine di pubblica violenza”. Nel 1860 fu prigioniero politico nelle carceri di San Severo per tre mesi, a causa delle sue frequenti visite a Torino e Milano, che destavano sospetti delle autorità austriache. Da lì tornò a Milano, poi si recò a Napoli, aggregandosi all’esercito garibaldino. Dopo il 1860, con l’Unità d’Italia, Caffi tornò a Venezia, riprendendo a dipingere. Morì a 57 anni, nell’affondamento della nave Re d’Italia durante la battaglia di Lissa del 1866,nel pieno svolgimento della terza guerra d’indipendenza, dopo aver lasciato Venezia in direzione Firenze e, da lì, 

Taranto. L’opera del Caffi, pur se ispirata ai modelli del Settecento veneziano, riuscì a modernizzare il vocabolario pittorico delle vedute, sia esplorando nuovi punti di vista, come nelle scene notturne, sia con temi 

inusuali, come il volo della mongolfiera. Nonostante sia stato molto apprezzato in vita, Caffi ha dovuto attendere la metà degli anni Sessanta per essere seriamente considerato dagli storici d’arte. Con la grande mostra allestita a Venezia in occasione del centenario della morte, è avvenuta la rivalutazione della sua pittura. La sua produzione pittorica fu numerosissima e parte di essa andò perduta.

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